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Ricordo molto bene, e con commossa reminescenza, la prima volta che mi chiesero cosa pensavo della massoneria. A porre questa domanda  fu colui che poi divenne in seguito un mio affezionato fratello di Loggia. Inconsapevole di essere sottoposto a quella che noi chiamiamo “tegolatura” – e cioè un “sondaggio” atto a verificare la predisposizione d’animo del profano chiamato a bussare alle porte del tempio – io risposi che, per quanto ne sapevo, la massoneria era soprattutto una predisposizione d’animo sulla quale mi riservavo di sospendere il giudizio poiché non ne conoscevo le caratteristiche. Di quanto prima si sparlava e poi mal si scriveva su questo argomento non mi importava. Ciò che è sconosciuto spaventa e credo che anche alla paura dell’ignoto si debba la cattiva considerazione che l’opinione pubblica nutre nei nostri confronti. Ho sempre pensato che i giudizi debbano formarsi attraverso la conoscenza delle cose e non per via induttiva, conferendo un senso di verità assoluta alle idee altrui, che spesso, per fretta, non curanza e intrinseca natura, tendono a essere approssimative. Gli altri siamo noi. L’altro sono io. E l’approssimazione appartiene anche a me, proprio perché  è un peccato che in quanto uomo non posso emendare: fa parte di noi essere leggeri. Cerco però di contenerla, l’approssimazione,  tento di essere acuto, provo ad avere una mente aperta. Non è sempre facile.  Ogni uomo che sospende il giudizio, ogni persona che eleva l’etica del dubbio a principio morale di riferimento, ogni essere senziente che si sente libero dai pregiudizi è un massone, anche se non indossa un grembiulino. Chiunque diffonda questi valori nel mondo che lo circonda, limitando il proprio senso di approssimazione e confinando la leggerezza a momenti più lievi (non è poi una cosa così malvagia), ha il potere di aprire le porte della libertà a chi lo ascolta. Anche questo è massoneria. E anche tu, certamente, sei mio fratello.