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Come ho già avuto modo di scrivere in queste pagine, la massoneria moderna ha natura speculativa. Per essere più chiari, i lavori delle nostre officine (le Logge) si svolgono per via metaforica (termine improprio e riduttivo, ma di più facile intuizione). Attraverso la speculazione del lavoro degli antichi muratori, più precisamente di coloro che costruirono il Grande Tempio di Re Salomone, noi esercitiamo quelli che chiamiamo i nostri “lavori di loggia”. La squadra, il compasso, i tre gradi di appartenenza (apprendista, compagno e maestro muratore) nonché le tre strette di mano – di cui non parlerò – e le altrettante parole associate ai tre gradi, sono gli strumenti che anche noi utilizziamo, oggi, per costruire il nostro di tempio e per distinguerci tra noi. Badate bene, noi non ci armiamo naturalmente di mazze e mazzuole trascorrendo le ore in loggia a costruire case. Per noi questi oggetti sono i simboli, ed anzi sono i mezzi mediante i quali costruiamo gli edifici della nostra anima, ovvero il nostro tempio di Salomone, il tempio della nostra personalità e della nostra cultura; questo è un “luogo metaforico”  grazie al quale tendiamo all’illuminazione. Un luogo dell’anima, lo ripeto perché è importante, un luogo che ogni massone costruisce dentro se stesso nei modi e con le intenzione che gli sono propri, ma che deve “essere costruito” secondo la scala di valori cui noi facciamo riferimento, e che trova nel supporto dei fratelli, altro termine riduttivo, un valore inossidabile. Si tratta di edificare un luogo personale e intimo, ma anche inglobato in uno più grande, quello della massoneria universale. Costruiamo, dunque, sia il nostro di tempio sia il tempio del “mondo”, con la speranza di migliorare noi stessi e gli altri. Quivi si rappresenta il luogo dell’illuminazione, dicevo, che è poi il nostro obiettivo finale, obiettivo che naturalmente è come il vello d’oro, che è qualcosa di irraggiungibile, forse; di questo ne siamo – ne sono anzi- consapevole. A noi, dunque, interessa più percorrere la strada che arrivare a destinazione. A forza di camminare verso il sole, io so di non poterlo raggiungere,  io so di non avere la grazia di vederlo più grande, ma so anche di poter volgere lo sguardo alle mie spalle e osservare quanto lontane siano le cose che prima mi erano vicine. Forse farei meglio a dire che a me interessa di più percorrere che arrivare. Questo non accade in tutti i massoni. La massoneria speculativa, e qui giungo all’oggetto di questa mia, ha origine nella leggenda di Hiram Abiff. Costui era il più grande “architetto” del suo tempo e a lui fu dato l’ordine, da parte di Salomone, di costruire il Grande tempio. Il Maestro Hiram coinvolse nel progetto migliaia di muratori provenienti da ogni Paese, da ogni etnia e da ogni cultura. Radunò questa folla in una grande valle. Ad alcuni di questi, i meno esperti, diede un grembiule bianco: erano gli apprendisti. Fornì loro un segno e una parola per farsi riconoscere nel loro grado ed avere il giusto salario per i lavori. Poi scelse i compagni, infine i maestri. A compagni e maestri diede grembiuli di colori diversi e altri segni distintivi; da tutti pretese una promessa: e cioè che non avrebbero mai rivelato ad altri i segni e le parole a loro concessi, pena il licenziamento. Questo si rendeva necessario per garantire che ogni “operaio” avesse il giusto salario in base al suo grado di preparazione. Un giorno accadde che tre operai, privi delle caratteristiche per l’aumento del salario, ebbero a congiurare contro il Grande Maestro Hiram, dapprima chiedendo lui le parole e i segni dei maestri ed infine, al suo diniego, colpendolo a morte alla gola, al cuore e alla fronte. Questo mito ha in sé diverse simbologie, sulle quali non mi esprimerò, almeno oggi. Si tratta di simbologie profonde, che dal tradimento di questi compagni di lavoro ci portano oggi ad allontanarci dalla menzogna, dall’ambizione e da una serie di altri principi che qui sarebbe inopportuno ricordare.  Dirò solo che le parti del corpo dove Hiram fu colpito simboleggiano i tre piani del rito iniziatico (di questo scrissi in altri luoghi): la gola, cioè la vita; il cuore, ovvero l’anima; infine la fronte e cioè l’intelligenza. Uccidendo Hiram, i tre operai uccisero l’uomo. Non citerò i nomi dei tre congiurati, che potete trovare tranquillamente in Rete, poiché per noi è come pronunciare una bestemmia.

Nota a pedice
Questo mio intervento è naturalmente riduttivo e la leggenda di Hiram è più lunga e complessa, ma il rischio di rendere noioso il contributo mi ha imposto di essere sintetico. Parte della storia del Gran Maestro, che qui ho condensato, racconta parte della struttura della massoneria e i motivi per cui alcuni di noi sono apprendisti (e indossano i grembiuli bianchi), altri ancora sono compagni (quando si ottiene maggiore consapevolezza), altri maestri massoni. Non spiego tutto, ma qualcosa svelo a chi ha occhi per leggere tra le righe.