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Anche tu sei un massone

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Ricordo molto bene, e con commossa reminescenza, la prima volta che mi chiesero cosa pensavo della massoneria. A porre questa domanda  fu colui che poi divenne in seguito un mio affezionato fratello di Loggia. Inconsapevole di essere sottoposto a quella che noi chiamiamo “tegolatura” – e cioè un “sondaggio” atto a verificare la predisposizione d’animo del profano chiamato a bussare alle porte del tempio – io risposi che, per quanto ne sapevo, la massoneria era soprattutto una predisposizione d’animo sulla quale mi riservavo di sospendere il giudizio poiché non ne conoscevo le caratteristiche. Di quanto prima si sparlava e poi mal si scriveva su questo argomento non mi importava. Ciò che è sconosciuto spaventa e credo che anche alla paura dell’ignoto si debba la cattiva considerazione che l’opinione pubblica nutre nei nostri confronti. Ho sempre pensato che i giudizi debbano formarsi attraverso la conoscenza delle cose e non per via induttiva, conferendo un senso di verità assoluta alle idee altrui, che spesso, per fretta, non curanza e intrinseca natura, tendono a essere approssimative. Gli altri siamo noi. L’altro sono io. E l’approssimazione appartiene anche a me, proprio perché  è un peccato che in quanto uomo non posso emendare: fa parte di noi essere leggeri. Cerco però di contenerla, l’approssimazione,  tento di essere acuto, provo ad avere una mente aperta. Non è sempre facile.  Ogni uomo che sospende il giudizio, ogni persona che eleva l’etica del dubbio a principio morale di riferimento, ogni essere senziente che si sente libero dai pregiudizi è un massone, anche se non indossa un grembiulino. Chiunque diffonda questi valori nel mondo che lo circonda, limitando il proprio senso di approssimazione e confinando la leggerezza a momenti più lievi (non è poi una cosa così malvagia), ha il potere di aprire le porte della libertà a chi lo ascolta. Anche questo è massoneria. E anche tu, certamente, sei mio fratello.

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Der Panther Im Jardin des Plantes, Paris, di Rainer Maria Rilke

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Una poesia che parla di un animale in gabbia. Una pantera. L’uomo.

Il suo sguardo, dopo tanto vedere attraverso le sbarre,
è divenuto così stanco che non ce la fa ad accettare nient’altro.
Per lui, è come se la sbarre fossero migliaia e migliaia,
e dietro le migliaia di sbarre nessun mondo.
Nel suo girare in quel cerchio ristretto, senza soste, la sua falcata diviene
una danza rituale attorno a un centro,
dove una grande volontà si trova come paralizzata.
A volte le palpebre si sollevano in silenzio e una forma entra,
scivola attraverso l’angusto silenzio fra le spalle e va a spegnersi nel cuore.

 Rainer Maria Rilke (1875-1926), Neue Gedichte, 1903

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Chi compone la mia loggia

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Molto spesso la Massoneria è vista come una forma di potere più o meno occulta oppure come un’aggregazione di persone potenti con finalità comuni di dominanza o di “autosostentamento”.
Non nascondo che questo accada in talune logge o in altre istituzioni massoniche, ma vi invito a leggere i mestieri che svolgono i mie fratelli (Grande Oriente d’Italia) nel mondo profano; essi appartengono, insieme a me, a una delle logge più rispettabili del nord Italia. Non farò nomi (le sigle sono casuali) poiché prassi vuole che sia un massone a dichiararsi tale al mondo, se lo desidera; troverete professioni di alto profilo, non lo nego, ma anche qualche sorpresa, che spero vi inviti a una riflessione.

Io: disoccupato (come tale sono esente dal pagare la quota associativa)
xy: operaio in cassa integrazione
xx: docente ordinario università
xz: medico chirurgo
xc: ceo di una grande azienda
cv: avvocato
vc: avvocato
dc: assistente università
vc: medico cardiologo
dd: impiegato
fc: disoccupato (come tale è esente dal pagare la quota associativa)
gh: docente università
gg: docente università
ff: docente di università
zz: medico primario di un grande ospedale

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Hiram Abiff e i figli della vedova

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Come ho già avuto modo di scrivere in queste pagine, la massoneria moderna ha natura speculativa. Per essere più chiari, i lavori delle nostre officine (le Logge) si svolgono per via metaforica (termine improprio e riduttivo, ma di più facile intuizione). Attraverso la speculazione del lavoro degli antichi muratori, più precisamente di coloro che costruirono il Grande Tempio di Re Salomone, noi esercitiamo quelli che chiamiamo i nostri “lavori di loggia”. La squadra, il compasso, i tre gradi di appartenenza (apprendista, compagno e maestro muratore) nonché le tre strette di mano – di cui non parlerò – e le altrettante parole associate ai tre gradi, sono gli strumenti che anche noi utilizziamo, oggi, per costruire il nostro di tempio e per distinguerci tra noi. Badate bene, noi non ci armiamo naturalmente di mazze e mazzuole trascorrendo le ore in loggia a costruire case. Per noi questi oggetti sono i simboli, ed anzi sono i mezzi mediante i quali costruiamo gli edifici della nostra anima, ovvero il nostro tempio di Salomone, il tempio della nostra personalità e della nostra cultura; questo è un “luogo metaforico”  grazie al quale tendiamo all’illuminazione. Un luogo dell’anima, lo ripeto perché è importante, un luogo che ogni massone costruisce dentro se stesso nei modi e con le intenzione che gli sono propri, ma che deve “essere costruito” secondo la scala di valori cui noi facciamo riferimento, e che trova nel supporto dei fratelli, altro termine riduttivo, un valore inossidabile. Si tratta di edificare un luogo personale e intimo, ma anche inglobato in uno più grande, quello della massoneria universale. Costruiamo, dunque, sia il nostro di tempio sia il tempio del “mondo”, con la speranza di migliorare noi stessi e gli altri. Quivi si rappresenta il luogo dell’illuminazione, dicevo, che è poi il nostro obiettivo finale, obiettivo che naturalmente è come il vello d’oro, che è qualcosa di irraggiungibile, forse; di questo ne siamo – ne sono anzi- consapevole. A noi, dunque, interessa più percorrere la strada che arrivare a destinazione. A forza di camminare verso il sole, io so di non poterlo raggiungere,  io so di non avere la grazia di vederlo più grande, ma so anche di poter volgere lo sguardo alle mie spalle e osservare quanto lontane siano le cose che prima mi erano vicine. Forse farei meglio a dire che a me interessa di più percorrere che arrivare. Questo non accade in tutti i massoni. La massoneria speculativa, e qui giungo all’oggetto di questa mia, ha origine nella leggenda di Hiram Abiff. Costui era il più grande “architetto” del suo tempo e a lui fu dato l’ordine, da parte di Salomone, di costruire il Grande tempio. Il Maestro Hiram coinvolse nel progetto migliaia di muratori provenienti da ogni Paese, da ogni etnia e da ogni cultura. Radunò questa folla in una grande valle. Ad alcuni di questi, i meno esperti, diede un grembiule bianco: erano gli apprendisti. Fornì loro un segno e una parola per farsi riconoscere nel loro grado ed avere il giusto salario per i lavori. Poi scelse i compagni, infine i maestri. A compagni e maestri diede grembiuli di colori diversi e altri segni distintivi; da tutti pretese una promessa: e cioè che non avrebbero mai rivelato ad altri i segni e le parole a loro concessi, pena il licenziamento. Questo si rendeva necessario per garantire che ogni “operaio” avesse il giusto salario in base al suo grado di preparazione. Un giorno accadde che tre operai, privi delle caratteristiche per l’aumento del salario, ebbero a congiurare contro il Grande Maestro Hiram, dapprima chiedendo lui le parole e i segni dei maestri ed infine, al suo diniego, colpendolo a morte alla gola, al cuore e alla fronte. Questo mito ha in sé diverse simbologie, sulle quali non mi esprimerò, almeno oggi. Si tratta di simbologie profonde, che dal tradimento di questi compagni di lavoro ci portano oggi ad allontanarci dalla menzogna, dall’ambizione e da una serie di altri principi che qui sarebbe inopportuno ricordare.  Dirò solo che le parti del corpo dove Hiram fu colpito simboleggiano i tre piani del rito iniziatico (di questo scrissi in altri luoghi): la gola, cioè la vita; il cuore, ovvero l’anima; infine la fronte e cioè l’intelligenza. Uccidendo Hiram, i tre operai uccisero l’uomo. Non citerò i nomi dei tre congiurati, che potete trovare tranquillamente in Rete, poiché per noi è come pronunciare una bestemmia.

Nota a pedice
Questo mio intervento è naturalmente riduttivo e la leggenda di Hiram è più lunga e complessa, ma il rischio di rendere noioso il contributo mi ha imposto di essere sintetico. Parte della storia del Gran Maestro, che qui ho condensato, racconta parte della struttura della massoneria e i motivi per cui alcuni di noi sono apprendisti (e indossano i grembiuli bianchi), altri ancora sono compagni (quando si ottiene maggiore consapevolezza), altri maestri massoni. Non spiego tutto, ma qualcosa svelo a chi ha occhi per leggere tra le righe.

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Massoneria al femminile

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Nel Grande Oriente d’Italia,  l’Istituzione di cui faccio parte, si esclude la presenza delle donne. Questo non accade nelle altre famiglie massoniche. I motivi per cui vi è questa esclusione sono di due tipi. Il primo è di natura escatologica, il secondo riguarda la ritualità. I riti massonici si enucleano intorno al concetto maschile del Sole, altro simbolo cui noi facciamo riferimento, seppur con altro nome. Si tratta di un principio di massima la cui ritualità è concentrata sulla forma-pensiero maschile, che è diversa (e io credo peggiore) di quella femminile, per sua natura “lunare”. Poli opposti. Sole e luna. Femmineo e “mascolineo”. Quanto ho scritto sarà poco condivisibile dai più, perché non entro nel dettaglio della ritualità, spiegandone i motivi nel dettaglio e quindi potrò apparire misogino. Il secondo aspetto si riferisce ai conflitti e alle naturali attrazioni che un uomo può avere per una donna. Poiché in loggia tutto deve essere “perfetto e senza macchia”, noi consideriamo la presenza femminile come una tentazione che può interferire nei lavori. Voglio essere chiaro: il problema non è la donna in sé, che io considero enormemente più ricca di valori di quanto non lo sia l’uomo. La questione è che l’uomo, suscettibile alla competizione, può entrare in conflitto con se stesso, e con i compagni, per colpa della propria indole. Il massone è prima di tutto un uomo, e come tale può essere imperfetto e volubile. La donna, spiego meglio, non avrebbe colpe nel creare possibili contrasti all’interno della loggia, ma l’attrazione erotica che essa potrebbe suscitare involontariamente renderebbe vani gli sforzi che ci poniamo. Io credo che, almeno su questo piano, la presenza femminile, cioè l’altra metà del cielo, possa invece costruire una massoneria più completa. Sul piano ritualistico, invece, comprendo che la presenza femminile possa trovarsi nella condizione di sentirsi autonomamente esclusa, ma questo non può precludere la presenza di logge composte da sole sorelle, così come avviene nella comunione massonica di Piazza del Gesù, la Gran Loggia d’Italia. La massoneria speculativa si riconduce a principi molto antichi, che forse andrebbero rinnovati anche nel GOI. Vi invito a leggere questo contributo, per approfondire la questione.

Noi amiamo concludere i nostri lavori con la frase “Tutto è giusto e perfetto”.

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Un massone privo di dubbi è un massone sbagliato

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Molti si domandano se la Massoneria è uno stile di vita, un sistema di valori oppure una furbata per ottenere vantaggi. La mia risposta – ed è onesta – è che si tratta di tutte e tre le cose. Dipende da che massone si sceglie di essere e da che uomo si decide di diventare. Il marcio c’è ovunque. Ed è marciume definirsi massoni quando lo si diventa per ottenere vantaggi. Il male eiste nella nostra istituzione, come esiste nel mondo profano. Dal canto mio, posso confessare di aver avuto la fortuna di entrare in una loggia che si fonda sui primi due principi, rinnegando e facendo motivo di esclusione il  il terzo. E questo l’ho notato in tutte le logge e i fratelli che ho avuto modo ci conoscere. Attorno a questi due intenti si sviluppano dunque tre precisi valori, che sono tipici e fondanti della nostra cultura: la libertà di pensiero, l’essere di buoni costumi e l’adozione dell’etica del dubbio, come riflessione sulle cose che ci circondano. Un massone che ha pregiudizi e certezze da non mettere in discussione è un massone sbagliato.
Un fratello, per dichiararsi tale, deve fare del dubbio uno stile di vita imprescindibile. E deve fare, della possibilità di cambiare le proprie idee, un principio di esistenza. Di come noi tentiamo di non avere pregiudizi, e di quanto questo sia difficile, ho già discusso. Ho parlato della riservatezza della nostra istituzione in queste pagine, guardandomi bene dal definire segreti i lavori di loggia. Il lavoro che il fratelli svolgono durante le tornate sono principalmente destinati ad arricchire sé stessi attraverso l’ascolto delle parole degli altri, che è cosa ben diversa dal “sentire” qualcuno parlare, ma tale arricchimento nasce anche nel proporre ai fratelli, sotto forma di “tavola” (cioè di lettura pubblica di una ricerca su qualsiasi tema) i propri punti di vista o i nostri stimoli culturali. Ascoltare e raccontare; punti di vista, i propri, che possono essere accettabili o meno, ma che hanno l’obbligo, questo sì, di essere conformi ai nostri valori di riferimento. Obietterete, forse, che poco c’è di diverso, nella nostra Istituzione, dai propositi di un circolo culturale. Non proprio. La Massoneria non invita a esprimere quella vanità che spesso si nasconde nell’esporre i propri talenti intellettuali e non ha le finalità educative o pedagogiche di un circolo culturale. Diversamente da esso, poi, noi fondiamo i nostri lavori sull’esoterismo dei riti che compongono la tornata (cioè la riunione), riti che certo possono sembrare antiquati e coloriti, così come può sembrarlo il tempio nel quale esercitiamo il nostro pensiero, che è ricco di simboli. Il cemento che compone le pietre del nostro tempio personale (questa è una metafora tipica delle massoneria speculativa e ne parlerò) è  soprattutto amalgamato dai pensieri, sempre diversi ed elevati, di quei fratelli che compongono la loggia, che di solito sono nel numero di dieci o quindici. E’ da questi pensieri, proposti e mai indotti o composti di protervia, che ognuno di noi costruisce il proprio tempio di saggezza per tentare di capire se stesso attraverso gli altri. Non mi stancherò mai di ricordare che noi rifuggiamo i dogmi e gli obblighi di pensiero che altre filosofie o religioni impongono. Non ci sono maestri in massoneria, ma solo fratelli uguali tra loro. Non esiste un Grande Architetto dell’Universo da adorare, un G:.A:.D:. che possiede un nome, una preghiera e delle esigenze. Il Grande Architetto dell’Universo è l’essere supremo che tu, come massone, pensi che sia: può essere Dio, la Natura, l’Energia dell’Universo. I compiti del massone sono quelli di veicolare all’esterno i costumi che compongo la nostra istituzione, affinché il mondo profano (faccio uso di questo termine, ma no lo non amo) possa, per osmosi, renderli propri. Sul perché alcuni tra gli uomini sono scelti per diventare massoni e altri no, e quindi sull’esclusività della massoneria (questa si che esiste) o sui motivi per cui, almeno nel Grande Oriente d’Italia, le donne non sono ammesse, ne parlerò diffusamente nei prossimi interventi.